

Caravaggio: Cena in Emmaus – National gallery Londra

Caravaggio: Cena in Emmaus – Pinacoteca di Brera
Michelangelo Merisi da Caravaggio:
La cena di Emmaus.
Due sono le tele che il Caravaggio creò sul tema della cena. Una si trova alla National Gallery di Londra (1601, olio su tela, 141 x 196,2 cm) e l’altra alla Pinacoteca di Brera (1606, olio su tela, 141 × 175 cm). La tela che è a Brera, più semplice, ha molto più pathos di quella londinese.
La semplicità è la caratteristica peculiare di quella di Brera: il pane, oggetto della transustanziazione, è posto dall’autore al centro della scena, e reso importante dalla provata abilità nel cogliere i contrasti di luce. Notiamo inoltre che il Cristo della cena di Brera (sembra che il modello sia stato il Caravaggio stesso) trasmette molta più sofferenza.
Insomma, sono due momenti diversi della stessa cena: quello inglese più narrativo e colloquiale, quello di Brera più sacro e profondo. Il Caravaggio, da grandissimo maestro, ci fa sentire il suo sentimento che accompagna due momenti differenti della sua tempestosa vita. La tela della National Gallery, dipinta nel 1601, gode della gaiezza di un periodo in cui, sotto la protezione del cardinale Francesco Maria del Monte, può contare su guadagni certi datigli dalle commissioni per le due grandi tele – episodi della vita di san Matteo – da collocare nella chiesa di San Luigi dei francesi.
La tela di Brera fu del 1606, periodo sicuramente più buio della sua vita personale a causa dell’uccisione, durante una rissa, di Ranuccio Tomassoni da Terni.
Una terza tela per san Luigi dei francesi, commissionata dai clerici, venne rifiutata per la rudezza del soggetto estremamente popolano, venne però difesa da un altro fermo protettore del Caravaggio, il marchese genovese Vincenzo Giustiniani, che acquistò per sé la tela; sappiamo che il marchese lo trasse d’impiccio più volte con la sua autorità: conosciamo l’abilità del Caravaggio di cacciarsi nei guai, anche seri.
Questa relativa tranquillità, dovuta alla doppia protezione, si riverbera nei suoi dipinti che, anche nel soggetto sacro e sofferente, fanno trasparire il suo sorriso interiore. Ne beneficia la sua opera che fruisce dei contrasti cromatici, illuminati da fonti di luce solo immaginabili dallo spettatore, che aprono la scena e la riempiono a volte delicatamente, a volte prepotentemente, ma mai grossolanamente.
Immaginiamo per un attimo anche la Natività dell’oratorio di san Lorenzo a Palermo (qui a destra), solo dell’anno precedente a quella londinese, il 1600, dove le figure ricevono proporzioni di luci di importanza variabile e dove la serenità dell’amor materno ci avvolge, uscendo dall’inclinazione del capo della Madonna: una Maria più umana e mamma, che non divina madre di Dio, che si appresta a proteggere col suo corpo il neonato, spogliandolo della sua natura divina e rendendolo solo un figlio, frutto del suo ventre, e pronto per il latte che presto arriverà dalla mammella che apparirà dall’abbassarsi della veste sulla spalla destra.
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