La carne: poche considerazioni, ma importanti. E da qui divago…

Angus, Fassona, Scottona, Chianina, Piemontese, nomi che non ricorrono correntemente nei colloqui quotidiani di noi gente qualunque.
È proprio per questa rarità, e per il suono esotico che hanno, che inducono a ragionare sulla naturale propensione dell’uomo al consumo alimentare.

L’uomo è un onnivoro, questo lo abbiamo studiato alle elementari.
Ma questo non significa che si debbano per forza mangiare tutte le categorie proteiche che si possono incontrare. In più ogni cultura, ogni civiltà ha le sue abitudini: non voglio dire ha le sue fisime perché detto così sarebbe poco rispettoso per le culture che non sono la nostra.

Mi viene un esempio grottesco, pur rimanendo nella nostra cultura occidentale: gli antichi Romani di ceto elevato ritenevano il garum un superbo condimento, mentre si trattava semplicemente di interiora di pesce fatte lungamente fermentare, direi dispregiativamente fatte marcire, il ché non attira certamente il nostro palato.

Eppure mi son trovato in Bretagna gli estimatori degli escrementi delle aragostelle (scampi o langoustine che dir si voglia) che stazionano per l’assorbimento nutrizionale nel retro della testa sotto il carapace. Bene, a suo tempo ho provato, ma non ho trovato quel godimento particolare, forse perché prevenuto per la conoscenza della provenienza.

E che dire di quelli che sono grandi estimatori del caffè che, mangiato dagli Zibetti indonesiani, Paradoxurus hermaphroditus, e recuperato intero nelle deiezioni degli animali stessi, viene venduto a prezzi esorbitanti?

Dicono che sia un caffé sublime, e il commento sembra di tutta realtà visto che il passaggio attraverso i succhi gastrici e i trattamenti intestinali di questo piccolo mammifero possono agire modificando la chimica dei contenuti aromatici della bacca del caffè.

Insomma: torna il vecchio adagio De gustibus non est disputandum.

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