
Ne abbiamo sentito parlare la prima volta quando abbiamo studiato il Manzoni. E poi l’abbiamo incontrato tante volte,
forse senza rendercene ben conto.
Per quest’argomento ci riferiremo al coro La morte di Ermengarda dell’atto IV della tragedia Adelchi che inizia coi versi:
Sparsa le trecce morbide
sull’affannoso petto
Lenta le palme, e rorida
Di morte il bianco aspetto,
Giace la pia, col tremolo
Sguardo cercando il ciel.
…
I coreuti cantano i giorni felici della sorella del Re Adelchi che sta lentamente spegnendosi consunta dal dolore per l’abbandono del marito.
Per descrivere e far sentire al lettore il pathos del momento e il rapido avvicinarsi della morte, il Manzoni usa la costruzione dell’Accusativo alla greca: Sparsa le trecce morbide.
È una costruzione non usuale e quasi scorretta nell’italiano corrente, che è tratta dalla sintassi francese che ne fa invece largo uso, ma che in poesia sorte l’effetto di coinvolgimento.
Nel racconto Ermengarda ha le trecce morbide, sparse e disfatte sul petto, che pulsa mostrando l’ansimare prossimo all’ultimo respiro che sta per esalare.
Il lettore, partecipe, percepisce, quasi identificandosi, lo stato di sofferenza del corpo che muove dallo stato di angoscia dell’animo.
La situazione sintattica e quindi emozionale si ripete per ben due volte nei versi successivi con gli attributi lenta e rorida, aumentando il coinvolgimento, quasi che incalzi il lettore nella lettura aumentando il tono e il ritmo per poi lentamente abbandonarsi all’ineluttabilità del trapasso mentre si pone domande. Le corrispondenti risposte, pescate nel passato felice che lentamente si è deteriorato, arrivano col continuo e incessante sollecitare del coro, monotono ma variabile nel volume, e ben sottolineano i contenuti descrittivi.
Poco più avanti, sempre nel coro ai vv. 103-104, troviamo un’altra figura poetica usata dal Manzoni, l’ossimoro. La Provvidenza, tanto cara al poeta da troneggiare in tutto il romanzo de I promessi sposi, è controbilanciata dal suo sostantivo sventura, e quasi anticipa la pace che aspetta la povera: abbandonata sulla terra, ma capita e rispettata dopo la discesa agl’inferi.
Un’altra figura poetica, l’enjambement di provida/sventura, la troviamo ancora proprio in questi due versi e rafforza la situazione che già la mestizia del coro porta a ieraticità indiscutibile.
L’enjambement è la scissione di un binomio sostantivo-aggettivo (o aggettivo-sostantivo o soggetto-verbo…) su due versi successivi che, metricamente calcato durante la lettura, aggiunge forza e, associato all’ossimoro, ne aumenta la forza e percuote ulteriormente il lettore invischiandolo completamente, se ancora non lo fosse stato, nella vicenda umana e nell’esito infausto ma confezionato col riscatto estremo.
Te collocò la provida
Sventura infra gli oppressi:
Muori compianta e placida;
Scendi a dormir con essi:
Alle incolpate ceneri
Nessuno insulterà.
Floruit Raramente ho incontrato in Italiano questa parola che dalla sua origine latina si è trasferita sic et simpliciter nell’italiano dotto.