Ho voluto comprarmi il libro di poesie della sodale di FB Viviana Viviani.
Al termine della lettura, mi è uscita questa paginetta di commento.

Di lei ho particolarmente apprezzato la pacatezza degli interventi sul social, la curiosità che sempre dimostra e la modernità con cui esprime certi argomenti che approccia a mo’ di spregiudicata ragazzina.

Cerco sempre di essere aggiornato su tutto quanto di nuovo mi capiti sottomano – è una maniera per tenermi più vivo dei miei coetanei, almeno mi illudo – e così inizio la lettura, seriamente, partendo dalla prefazione di Pasquale Vitagliano che, sanando la mia ignoranza, scopro essere un noto poeta, critico e redattore di riviste di poesia, giornalista, e concretamente impegnato in attività politiche in appoggio a Libera. Il suo cv me lo avvicina culturalmente, e si capisce perché voglio sempre conoscere un po’ di biografia degli autori che affronto.

Mi fermo a metà del primo capoverso per confessarmi una mia ulteriore ignoranza – ricordo che il mio motto principe è il socratico ἓν οἶδα ὅτι οὐδὲν οἶδα,  i.e. Unum scio, nihil scire – perché salta alla vista un termine sconosciuto che ho paura di non saper nemmeno pronunziare indie.
Comincio a pensare, utilizzando la poca erudizione che anni e anni di studi classici mi hanno lasciato, e poi a scartabellare finché giungo alla ferale spiegazione. Indie non sono le Indie, orientali o occidentali, ma è una corrente musicale che usa il termine come abbreviazione dell’anglosassone independent (producer), produttori indipendenti, insomma! E lo sapeva anche il semplice traduttore di google!

Continuo nella lettura e questa introduzione mi risulta un po’ ostica cerebralmente: leggo e rileggo alcuni periodi e poi, dubbioso, mi assumo l’incapacità di capire a fondo, dando anche la colpa alla fretta che ho di affrontare la lettura dei versi: la solita irruenza dello studente d’un tempo, che vuole scoprire il vero succo del discorso. Mi ripeto: come al solito, è per questo che assaporo di più una lettura alla seconda passata, e con leggero malumore, mi avvicino ai versi impaziente ma cauto.

Il primo titolo mi calma all’istante perché il capitolo è intitolato L’infanzia e immagino in un attimo che, quelle note biografiche che, come dicevo, cerco sempre, avranno subita risposta. Lentamente scopro capelli, gonna e rimmel, passo attraverso figure fantastiche e piacevolmente addolcite, accostamenti a volte arditi e assonanze ricercate.

Immerso in questo tiepido fluido morbido e ben odorante, mi ritrovo improvvisamente, quasi inatteso, un incidente probatorio tra una stampante e un calamaio e scivolo nel pathos ondivago e sottile, con venature ciniche tra passioni, sesso e presunzione. Il day-by-day mi trasporta al quotidiano incontro di vari esercizi della mente fino alla temuta e rispettata vecchiaia e agli incontri con i congiunti svaniti e la polvere in cui saremo trasformati; uno strano corpo monocellulare mi conduce quasi incoscientemente alla resurrezione della carne.

Ecco poi che Poesia e Weltanschauung mi danno una visione indiscutibile del mélange con cui Viviana guarnisce la torta, che ci presenta su un vassoio che, intorno, intorno, riproduce un calendario caleidoscopico, dove i vetrini colorano l’aria e sorridono, fino all’ultima sillaba, lasciandoci con la voglia di continuare con altri esametri spondaici a brindare pacati e felici.

Viviana Viviani – La bambina impazzita – Arkadia editore
http://www.arkadiaeditore.it/la-bambina-impazzita-3/

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